Riflessioni
Da adolescente, quando giocavo a calcio, poteva capitare di arrivare in anticipo al campo. Nello spogliatoio, dopo essermi cambiato, legavo bene i lacci delle mie scarpe con i tacchetti già consumati e il custode interrompeva un po’ infastidito la sua siesta, cercava la chiave del cancello in mezzo a tante altre e mi faceva entrare nel campo. Un’enorme distesa di terra secca, senza erbetta: io da solo in questo spazio vuoto non pensavo a niente, solo alle gambe, alle giunture da mettere in moto e da riscaldare nei primi esercizi. Ma c’era anche una sensazione che provavo e che non ho dimenticato. Un senso di innaturalezza, lo definirei oggi, il fatto di essere da solo in uno spazio nato di proposito per l’interazione e l’incontro. E non vedevo l’ora che il campo cominciasse a prendere il suo vero senso, quando da dietro gli spalti avrei sentito prima le voci dei miei compagni, poi le loro sagome snelle e immature farsi sempre più vicine, immergersi in questo spazio per partecipare insieme di un unico movimento, un’unica energia condivisa e pulsante.
Non sono diventato un calciatore, ma un insegnante. Ho raccontato tutto questo perché quello stesso senso di innaturalezza che un giorno provai in un campo da calcio è tornato a farmi visita, in questi giorni. E precisamente quando sono entrato in aula vuota. Non sono arrivato in anticipo, ho sbagliato classe. Era proprio lì che dovevo essere, in un’aula vuota durante il mio orario curricolare.
Lo stato di necessità che ha portato a questo svuotamento, la mancanza forzata della sua dimensione fisica e partecipativa, ci ha portati a riflettere oggi sulle stratificazioni simboliche che si creano attorno, dentro e attraverso il microcosmo-aula. Laboratorio, palestra, officina, agorà. Quello che volete. In ogni caso, luoghi in cui forgiare, da idee astratte, esperienze concrete e tangibili.
Nel ciclo di interviste che Lampioni Aerei ha condotto sul tema del Simbolo, l’incontro con Angelo Martines, docente di chitarra, ha portato una riflessione sulla funzione dell’insegnamento e sulle implicazioni che esso ha nell’universo individuale e collettivo. Se consideriamo che il sapere non può e non deve essere considerato come mera trasmissione di contenuti ma come disvelamento partecipato, tra insegnante e alunno, di una verità, questa non può essere scollegata dal vissuto esperienziale di ciascuno, ma deve potersi manifestare in tutta la sua cogente attualità nel quotidiano, nel travaglio corrente delle nostre azioni, fornendo così chiavi di volta, strumenti per interpretare la complessità del reale. Solo in questa dimensione partecipativa sarà possibile allora trovare soluzioni, mai preconfezionate e sempre nuovamente forgiate dalla variabilità del mondo in cui viviamo , dalle incognite dentro alle situazioni. Così la pratica educativa dovrebbe potersi costituire come un “Laboratorio”, una palestra empirica (simbolo) in cui sperimentare il gioco costruttivo dell’errore che, nel demolire precedenti certezze, conduce ad una visione più oggettiva del reale. È quella linea di tensione che può condurre l’alunno a capire dove si trova in quel preciso momento della sua formazione e dove può dirigersi, eventualmente arrivare. La musica, lavorando col suono, sperimenta un materiale impalpabile, e la creta che viene plasmata non si cristallizza in una forma tangibile. Per questo il simbolo nella musica è quasi la sostanza che si frappone e percorre lo spazio tra chi esegue il suono e l’orizzonte percettivo di chi ascolta. Martines ci spiega come l’interprete sia allora il veicolo che deve sapersi destreggiare in questo spazio, condurre con il suo strumento quella sostanza impalpabile, renderla intellegibile, disponibile all’orizzonte percettivo degli uditori. E, tramite il potere del simbolo, travalicare il primo livello meramente percettivo per accedere ad una dimensione conoscitiva, completa e sostanziale. Come può l’interprete-esecutore condurre questo materiale impalpabile? Martines non ha dubbi, ci riesce spogliandosi dai suoi egocentrismi, facendo i conti con i propri errori, le proprie convinzioni e pregiudizi. L’insegnante guida l’allievo in una constatazione di questi errori, che potrebbero restare nascosti e lo fa attraverso un lavoro di auscultazione del corpo, del respiro, delle rigidità che segnalano un’uscita da quel canale fluido di decentramento con cui l’esecutore può accantonare i propri narcisismi e individualismi e restituire intatto il messaggio universale della musica, senza distorsioni e impurità. Ecco che, ritornando al mio aneddoto adolescenziale, appare chiaro come il processo di crescita coincide con lo stesso far parte di una classe, microcosmo in divenire, sistema democratico in cui la diversità delle singole individualità concorrono a formare l’armonia del gruppo, nel rispetto reciproco e nella condivisione.
È importante che il docente non imponga, ma lasci percepire agli alunni la propria autorevolezza (diversa dall’autoritarismo), che promana dalla gentilezza e fermezza di ogni singolo gesto, sguardo teso a mostrare, guidare, coinvolgere. Solo così si può instaurare quel senso di fiducia che pervade l’ambiente “classe” e soprattutto fa sì che la correzione dell’errore non venga solo percepita dell’alunno come un limite ma come una direzione, una potenzialità da sviluppare nel percorso. Martines crede in una dimensione olistica del sapere, della didattica che trascende la singola disciplina ma consiste in un sistema di relazioni, di vasi comunicanti che realizzano un sapere di tipo rinascimentale, eclettico ma organicamente unitario. Un simbolo nella pratica educativa può essere l’aula come “agorà” in cui ognuno possa esprimere la propria posizione all’interno del gruppo, esternando un pensiero divergente nel rispetto della libertà dell’altro. Tramite questo simbolo l’alunno cresce nel sentirsi un cittadino, una voce attiva che lotta per la difesa dei propri diritti e di quelli che non hanno voce per poterli difendere. Un altro simbolo nella pratica educativa potrebbe condensarsi nell’immagine di questo viaggiatore che prende strade sbagliate, strade che allungano il percorso, perché lo scopo non è arrivare prima ma arrivare dopo per poter sperimentare le diverse e disparate possibilità del reale, i mille errori, le mille note sbagliate, stonate, autoreferenziali e posticce che devono diventare la melodia autentica essenziale, del nostro autentico essere. L’ambiente fisico della classe è imprescindibile: ecco perché in tempi di forzata didattica a distanza è necessario che la politica trovi soluzioni, con investimenti seri sugli spazi e le strumentazioni, per permettere che la didattica torni nelle aule, habitat naturale, come lo era il campo da calcio per noi aspiranti calciatori che a un certo punto abbiamo dovuto appendere le scarpe, con i tacchetti ormai consunti, ad un muro.
Il video dell’incontro
Breve biografia di Angelo Martines
Chitarrista, arrangiatore, insegnante di musica, Angelo Martines nasce a Gela nel 1976 e inizia gli studi di chitarra classica all’età di 10 anni. Dopo la maturità scientifica prosegue con gli studi sotto la guida del M° Stefano Palamidessi con il quale si diploma brillantemente presso il conservatorio G. Rossini di Fermo.
Dal 1997 al 2001, parallelamente agli studi di composizione e a quelli di chitarra elettrica jazz con il M° Umberto Fiorentino, frequenta il corso di alta formazione concertistica presso l’Accademia Internazionale di chitarra “Arts Academy” di Roma, dove si perfeziona con il M° Nuccio D’Angelo, il M° David Russell, il M° Nigel North, il M° Roland Dyens, M°Carlos Bonell, M° David Starobin, il M° Albert Ponce, il M° Alirio Diaz, il M° Frank Bungarten, il M° Betho Davezac ed il M° Carlo Marchione.
Nel 2001 insegna chitarra a Holmavik (Islanda) e terrà concerti e masterclass a Reykjavik , presso il consolato italiano in Islanda. Continuerà a perfezionarsi con il M° Giovanni Puddu. Oltre all’attività solistica che lo vede esibirsi presso varie associazioni nazionali, è attualmente consulente musicale per la cooperativa teatrale “Punto Improprio”, per la quale ha composto musiche per spettacoli teatrali come La dodicesima notte di W. Sheakspeare e Rosso Malpelo di G. Verga.
E’ componente del Duo Anlagen, un progetto di musica contemporanea per clarinetto e chitarra, duo che ha ottenuto diversi premi in varie competizioni nazionali ed internazionali, tra cui il Primo Premio al concorso internazionale “E. Sollima” e Primo Premio a concorso internazionale “Città di Barcellona”. Decisivo l’incontro con la pianista e concertista Christa Butzberger, con la quale si dedica all’approfondimento della fenomenologia musicale, come delineata per primo dal grande direttore romeno Sergiu Celibidache. Grazie al suo trascorso, è oggi un artista poliedrico ed ha in attivo diversi progetti che hanno come scopo quello di fondere insieme più arti: crea “Materia”, progetto di musica e visual art che mette in scena all’auditorium Rai di Palermo e collabora con la danzautrice Ilenia Romano nel progetto “Alegre Saudade” per corpo e chitarra. E’ docente di chitarra presso il Liceo Musicale “Cavour” di Torino.