Rimini come Hollywood, come Nashville

Rimini come Hollywood, come Nashville

Rimini, uscito nel 1985 e ora disponibile nella collana “Classici contemporanei” della Bompiani, si pone esattamente al centro della produzione letteraria dello scrittore emiliano e rappresenta, per svariati aspetti, il turning point della sua opera.
Fotografia di Filippo Ilderico

Pier Vittorio Tondelli è stato la supernova della letteratura italiana degli anni ’80: la sua parabola letteraria apre il decennio con Altri libertini, uscito nel 1980 per Feltrinelli, e lo chiude con Un weekend postmoderno (Bompiani, 1990). Postumo, nel ’93 e sempre per Bompiani, vedrà la luce L’abbandono. Tondelli, dunque, ha attraversato gli eighties e ha maturato nel corso di quei dieci anni uno stile e un’idea di letteratura che avranno come approdo il suo ultimo romanzo Camere separate (Bompiani, 1989) e ciò che esso incarna: le burrasche emotive e la scrittura catartica e chirurgica della “letteratura interiore”.

Rimini, uscito nel 1985 e ora disponibile nella collana “Classici contemporanei” della Bompiani, si pone esattamente al centro della produzione letteraria dello scrittore emiliano e rappresenta, per svariati aspetti, il turning point della sua opera. In primis perché segna il passaggio ad un nuovo editore, da Feltrinelli a Bompiani. Il trasferimento a Bompiani, dove pubblica i suoi libri più compiuti – quelli dei trent’anni –, sigla infatti la conquista di una maturità diversa. Con Feltrinelli aveva pubblicato Altri libertini e Pao Pao (1982), che lo avevano consacrato a giovane beat della letteratura italiana; un ritratto che vuole scrollarsi di dosso, come ammette in una lettera dell’85 a François Wahl delle Edizioni Seuil di Parigi, interlocutore fondamentale di Tondelli: «“Rimini” è un romanzo di tipo nuovo per me. Ho voluto staccare anche con la mia vecchia immagine di “enfant terrible”. Vedremo poi i risultati». Si può dire, allora, che l’anno ’85 e Rimini condensino la stagione precedente rilanciandola verso una nuova fase di scrittura e temi.

Il romanzo, uscito a giugno, si impone subito come best-seller (quasi centomila copie vendute nel giro di poche settimane dall’arrivo in libreria), stroncato dalla critica e premiato dal pubblico. Viene presentato insieme all’omonimo successo discografico di Lu Colombo al felliniano Grand Hotel da Roberto D’Agostino, in una serata di luglio all’insegna dell’immaginario collettivo su Rimini, tra cocktail di gamberi e non, balli e luci stroboscopiche ad inaugurare la mostra bolognese Anniottanta. A fine libro Tondelli infila la prima compilation esplicita della narrativa italiana, strizzando l’occhio alle sonorità new wave d’oltremanica e alla scena londinese, complice l’irresistibile preveggenza pop che PVT dimostrerà lungo tutto l’arco della sua vita.

Già dall’incipit, affidato alla voce dell’opportunista cronista Marco Bauer che si sposta da Milano a Rimini per dirigere l’inserto estivo del giornale per cui scrive, è evidente come PVT abbia abbandonato il racconto generazionale ma non lo sperimentalismo: Rimini si presenta come romanzo d’ambiente, poi assume la morfologia del romanzo di costume, passa ai toni del giallo politico e gli affianca la commedia sentimentale dai risvolti kitsch, trovando spazio anche per il romanzo esistenziale. Tondelli abbatte le distanze, cristallizza le loro strutture portanti mescendole nella diegesi e crea, così, un romanzo che ha del fetish per il genere romanzo e per la letteratura, nel senso di omaggio all’arte cui si è votato. Il tutto reso da una scrittura veloce, diretta, tesa all’immagine e ai dialoghi dal sapore statunitense (a volte eccessivamente melensi), dal ritmo aggressivo e al contempo controllato, che fa uso di un sound ancora americano ma diverso dalle prove precedenti: meno Kerouac, più Baldwin. Ed è proprio la lingua pulita, senza ondeggiamenti vertiginosi tra gli stili, a costituire l’amalgama della convivenza quasi sempre pacifica di questa moltitudine di sottogeneri romanzeschi: una lingua che punta a comporre una sinfonia in cui le diverse voci dei personaggi giungano ad alternarsi e sfiorarsi armoniosamente. Rimini, infatti, è soprattutto un romanzo polifonico, cadenzato dalla pluralità dei punti di vista dei numerosi “fantasmi” (per dirla con Moravia) che animano le sue pagine, di cui alcuni tirano le fila delle trame salienti. Difatti il romanzo è giocato su più livelli narrativi e la storia principale segue le vicende di tre outsider che a Rimini si trovano per caso e fato: Marco Bauer, direttore per quell’estate della “Pagina dell’Adriatico”, alle prese con la gestione del giornale e con il presunto suicidio dell’ex senatore democristiano Attilio Lughi; la quarantenne berlinese Beatrix Rheinsberg, invischiata nella sua personalissima recherche, che tenta di trovare a Rimini la sorella fuggitiva; il giovane e promettente scrittore omosessuale Bruno May, reduce e vittima di un abbandono ferale, che tra alcool e propositi di redenzione consuma la sua estate riminese cercando di abolire il proprio passato o di morire con esso. Le sottotrame sono agitate dalla fauna anni Ottanta di una costiera adriatica misteriosa e sbracata e i personaggi, che sono generatori di intrecci e marcati da Tondelli con il fuoco dell’ossessione, si muovono nell’estate della costa romagnola perseguendo i propri obiettivi: che siano vendere il proprio film, fare carriera con notizie spicciole, frequentare chiccosissimi premi letterari, girovagare fra i monasteri dell’Appennino per trovare pace, staccarsi dalla casa paterna per rimpossessarsi della propria vita, intrecciare storie d’amore notturne con la dirimpettaia, nascondersi nel turismo di nicchia lontano dalle spiagge popolari per sfogare le proprie voglie. In questo sciabordare di pulsioni e repressioni subentrano due prose in corsivo, che si pongono come racconto in presa diretta delle vicissitudini di una famiglia di albergatori della riviera romagnola dagli anni ’50 agli ultimi anni ’70, tramite la voce e i ricordi di un membro della prole. La storia di quest’ultimo – Renato – sarà tematicamente estranea al resto del racconto, ma il luogo in cui si svolgerà – la ei fu Pensione Kelly, poi Hotel Kelly, infine Meublé Kelly – non solo restituirà uno spaccato di una storia di successo e fallimento come tante nell’Italia dal boom in rotta libera verso Tangentopoli, ma farà anche da sfondo all’unica storia vincente – l’avventura dei giovani e squattrinati cineasti Robby e Tony, che a Rimini troveranno il successo – in quello che è sostanzialmente un romanzo di sconfitti, ben lungi dall’equiparare alla rapidità dello stile la superficialità del tratteggio delle sue figure fictae. Queste, come fossero parte di un quadro dai soggetti magicamente in movimento, sgusciano da uno scenario all’altro, si sfaccettano e disseminano nell’intreccio complessivo e man mano recuperano i pezzi della loro fisionomia di carta tramite il punto di vista dal quale sono filtrati, tramite l’immagine che ce ne restituisce il personaggio che si trova a darne conto quasi sempre accidentalmente. Così, per esempio, Claudia viene introdotta come una giovane tedesca sbandata che approfitta di Marco Bauer per un passaggio e poco più avanti si scopre che è la sorella di Beatrix e costituirà la quête di quest’ultima attraverso un disperato e confuso viaggio in Italia, dove “Beate” ritroverà non solo Claudia ma anche se stessa. Sempre Marco Bauer – l’unico personaggio a dire “io” in una narrazione condotta nelle restanti parti da un narratore onnisciente in terza persona e amabile rompicoglioni – sarà il primo a dar conto al lettore di Bruno May, che conoscerà per caso al bar pagandogli una serata all’insegna della cirrosi epatica. Beatrix e Bruno, con le loro esistenze sfilacciate nel Nord Europa, iniziano a disegnare la geografia della letteratura emotiva dell’ultimo Tondelli di Camere separate.

Rimini è un inquietante grembo fiabesco che accoglie tutto ciò perché, come da titolo, è lei la vera protagonista: Rimini cheap, falsa e selvaggia; Rimini appenninica, cattolica, old school; Rimini italietta e italiona. La città è connotata in senso umano, al pari degli altri personaggi. L’unico teatro italiano che possa prestarsi ad una trasfigurazione internazionale che l’apparenti alle capitali dello spreco e delle opportunità e i nomi americanizzati dei personaggi vanno in questa direzione. «Voglio che Rimini sia come Hollywood, come Nashville cioè un luogo del mio immaginario dove i sogni si buttano a mare […]», diceva PVT. D’altronde, leggendo, sembra di essere catapultati in un party losangelino di quelli riprodotti e massacrati da Bret Easton Ellis, amato da Tondelli. Rimini riesce a commercializzare anche l’apocalisse profetizzato sulla soglia dell’epilogo da un vecchio professore di latino che getta la città nel panico. Tuttavia, come nota Bauer nelle sue ultime battute, «il giorno dopo la vita sulla costa adriatica riprese lentamente il suo ritmo normale» e Rimini, come le acque torbide del suo mare, torna ad assorbire e respingere tutto.

A trentacinque anni dalla pubblicazione del bocciatissimo romanzo tondelliano, succube ora e allora del pregiudizio castale di chi equipara alla levigatezza della pagina scritta l’immediato riconoscimento valoriale, Rimini si conferma uno dei pochi romanzi postmoderni in grado di riscuotere una scoppiettante eco che accenda il dibattito e fra i lettori e fra gli addetti ai lavori. La strategia compositiva impostata per intercettare una vasta ed eterogenea platea e per non rimanere, dunque, appannaggio di una cerchia sempre più esigua di super lettori, ha il chiaro pregio di mettere in dialogo critica e pubblico in un modo schietto e, ad oggi, ancora piuttosto raro. Certo, a volte il testo è eccessivamente sfacciato nello sbandierare il suo alto tasso di traducibilità, attirando così accuse sulla piattezza espressiva e linguistica, ma resta la riuscita dell’intento programmatico di Tondelli di essere uno scrittore a tutto tondo e non solo, quindi, uno scrittore italiano. Il desiderio, cioè, di poter raggiungere i suoi miti a stelle e strisce nell’alveo della letteratura mondiale. Rimini si inscrive in questo sogno e inaugura, per la letteratura nostrana, l’Italian dream.

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