Si pensano vecchi toccandosi
Maria Borio, Trasparenza, Interlinea, 2019, p.77
Si pensano vecchi toccandosi.
Le dita sulle tempie, gli sguardi che coincidono.
Forse è quello che sopporteranno le dita
e che i tendini perderanno a farli esistere.
Ma oggi erano spazio che trema senza pace né lotta.
Erano l’idea di un fiore aperto e sterile.
Dicono invecchiamo per sapere di vivere
dicono moriremo per spingere un’idea di pace o lotta
a tirare al sole fiori veri dai rami.
Dal contatto all’immagine. Dalla superficie della pelle che incontra la superficie della pelle, l’immaginazione proietta i protagonisti alla condivisione di una vecchiaia figurata. Il campo si stringe verso un particolare: le tempie. Al fisico succede l’immateriale, gli sguardi – le visioni rispettive – coincidono. Si fanno uno.
Nei primi due versi, costituiti da unità sintattiche complete in sé e concluse dal punto fermo, Borio stabilisce il paradigma che orienta i rapporti tra gli elementi fisici e non-fisici nel microcosmo della composizione. L’istituzione metafisica che lega il contatto dei corpi e le visioni singolari è letta dalla poetessa nei termini di una pura ipotesi: “forse” è il contatto a renderli veri, “a farli esistere”. Nella ‘sopportazione delle dita’, l’esperienza umana si condensa in una chance di esistenza ulteriore. Così come nella sconfitta tendini (v.4) che porta alla morte. Se anche un giorno il fisico sarà privo di vita e l’esperienza sarà conclusa dallo scadere del tempo biologico, l’esistenza dei protagonisti sarà comunque stata certa. “Ma oggi erano spazio che trema senza pace né lotta”. Nell’istante, essi sono stati vivi, sono stati “spazio”, sono stati movimento. Senza la reale possibilità di generare – di essere genealogia biologica e vitale. Sono stati bellezza, “fiore aperto”, caduco.
I tre versi conclusivi formano il periodo più lungo della composizione e vanno a chiuderne la costruzione metrico-sintattica, scandita simmetricamente nello schema 1 / 1 / 2 / 1 / 1. Come seguendo una diversa messa a fuoco, nei versi finali lo sguardo della poetessa si sposta, rivolgendosi alla generalità di una voce che coinvolge i protagonisti solo tangenzialmente. Il focus non sono più loro, i loro corpi, ma la ‘teoria’ di un (non)senso comune che li riguarda in quanto soggetti. Alla vecchiaia proiettata dall’intimità del contatto, succede ora una vecchiaia topica, dotata ‘dagli altri’ di un significato di autocoscienza, ulteriore rispetto all’effimera vitalità biologica. Nella prospettiva altrui, la morte diventa prova a suffragio dell’ipotesi della vita come incontro di tensioni, come in movimento tra scontrarsi e distendersi. In conclusione, come cogliere fiori e scagliarli verso il sole.
Come un gesto privo di senso. Denso di ribellione, di spreco, di bellezza.